Il cibo che cresce da solo

Il mio piccolo orto selvaggio, ad agosto, ha prodotto più di 12 chili tra frutta e verdura. I soli lavori sono consistiti in una vangatura iniziale, nel distribuire un poco di stallatico in pellet, nel mettere a dimora 12 piantine acquistate, nel seminare alcune verdure, nel posizionare dei tutori, e aggiungere acqua solo quando indispensabile. Basta. Il resto è stato allungare una mano per cogliere.

Ogni tanto sono state tolte alcune erbe spontanee. Nella tarda primavera, al limite dell’orto, ai piedi dei cespugli di confine, sono apparse delle nuove piantine che non avevo seminato. A prima vista erbe non meglio identificate, forse da togliere, ma forse, dalla forma delle foglioline, delle piante ben note e molto interessanti. Come può essere? Da quando nascono da sole? Eppure. Ho voluto assecondare la natura, darle lo spazio che merita, ho atteso, per vedere bene cosa stava crescendo.

Si, erano loro, piante di pomodoro, germogliate senza essere state deliberatamente seminate. Oggi sono alte quasi due metri, e producono grappoli rossi carichi di pomodorini, gustosissimi, e ne offriranno fino a ottobre. Sono diventate la parte più interessante dell’orto, cresciute liberamente, a dire che il cibo cresce da solo. Basta saper riconoscere le foglie.

Fare un orto ha valore? E’ solo un fatto privato?

Mangiare cibo che cresce nel proprio orto è fonte di soddisfazione, soddisfazione di vedere crescere giorno per giorno piantine che hai seminato con le tue mani, cibo sano, senza alcun trattamento chimico. Lo si può servire in tavola fresco fresco, appena colto, con tutto il suo aroma. Andare a raccogliere è un piacere, una piccola passeggiata tra le erbe, senza dover fare la coda al supermercato, senza spendere un centesimo per i sacchetti, per la pellicola trasparente, per i vassoi in plastica. Zero immondizia.

L’orto è piccolo, occupa un angolo del giardino, e vangare sette metri quadri di terra è stato un sano esercizio fisico. Accanto cresce un fico, e fa tutto veramente da solo: fichi neri a profusione, dolcissimi.

Ma una attività così limitata e privata, tenere un orto, ha anche una portata sociale e, se diffusa, globale. Per avere un impatto globale è necessario agire concretamente e localmente. Subito.

Facciamo due conti. Spesso si agisce per abitudine, e raramente ci si mette a riflettere su ciò che significano i nostri comportamenti se proiettati su scala globale. Dodici chili di frutta e verdura, ad agosto, paiono poca cosa, ma proviamo a moltiplicarli per tutti gli italiani, che sono circa 60 milioni.

Una proiezione, ogni italiano coltiva o raccoglie 12 chili: fanno in totale 7.200.000 QUINTALI di frutta e verdura in meno trasportati su e giù per l’Italia.

Quando al supermercato vedo pomodori che vengono importati dall’Olanda – dico, l’Olanda, proprio il tipico paese Mediterraneo – mi vengono i brividi.

Piccola ricerca: un autoarticolato trasporta circa 250 quintali di merce, e dunque, per trasportare 7.200.000 quintali di verdura è necessario caricare 28.800 autoarticolati.

Mia cucina, Chirignago, mio orto, distanza due rampe di scale e 20 metri, a piedi. Distanza mia cucina, Chirignago, Amsterdam, Olanda, 1.297 chilometri (percorso tracciato da Google maps). Caliamoci nei panni di un camionista olandese, che saluta tutti e si mette a perdere una vita smarrito per autostrade, svincoli, aree di servizio, lavori in corso, pattuglie della polizia, viadotti in riparazione a corsia unica, tunnel nelle budella delle Alpi, ingorghi con code chilometriche, incidenti mortali con auto in fiamme, per cosa? Per portare pomodori. Dove, dove? In Italia?

Un autoarticolato, nella migliore delle ipotesi, percorre 3 chilometri con un litro di gasolio, e per viaggiare dall’Olanda ne deve bruciare 432 litri. Dodici chili di pomodori coltivati in Olanda, per ogni italiano, portano a bruciare 12.441.600 litri di gasolio.

Se compero pomodori coltivati in Olanda, divento anche io responsabile dell’intero processo, che implica il trasporto, e la conseguente produzione di monumentali masse di gas tossici e gas serra, sparsi per la Penisola. Un processo perverso.

Ma le abitudini si possono cambiare.

Ora è tempo di rimboccarsi le maniche, e preparare il terreno per le verdure autunnali.

 

2 pensieri su “Il cibo che cresce da solo

  1. Caro Stefano, complimenti per il tuo orto e la tua ricca produzione. Anche io come te ho allestito un piccolo orto circondato da qualche albero da frutto (sfidando talvolta anche l’adattamento climatico) e non posso che essere d’accordo per la soddisfazione e l’orgoglio che si prova durante la raccolta e per il contribuito di tutela nei confronti dell’ambiente attraverso l’abbattimento dell’inquinamento dovuto ai trasporti. Oltre ai vantaggi che hai descritto vorrei anche suggerirti di soffermarti per alcuni minuti ad osservare la vita che hai creato intorno al tuo orto. Api, farfalle, lombrichi, parassiti e loro antagonisti, anfibi e rettili, piccoli animali selvatici e persino erbacce commestibili come la portulaca o porcellana soddisfano le loro esigenze, contribuendo all’impollinazione, al rimescolamento della terra, alla lotta naturale ai parassiti e che nell’insieme formano un piccolo ma utilissimo ecosistema. Profumi, colori, ronzio di api, eleganti farfalle, turni tra notturni e diurni generano sensazioni, movimenti e rumori diversi da quelli che associamo normalmente all’agricoltura su vasta scala fatta di pesticidi, fertilizzanti chimici, trattori, mezzi gommati e aerei. Un orto quindi rappresenta non solo una fonte di prodotti genuini che ci permette di raccogliere frutti al giusto grado di maturazione, ma anche una piccola “isola” di biodiversità che arricchisce di profumi, colore e vita le città, i giardini o il proprio balcone o terrazzo. Cambiare le abitudini rivalutando i propri giardini con terra, orti e piante, piuttosto che con pavimento e cemento, sarebbe certamente un piccolo ma importante contributo per migliorare la nostra vita e rendere più belle e meno inquinate le nostre città.

    • Il tuo commento è ricco di spunti e apre nuove prospettive; e dunque, Carlo, grazie. Hai ragione nel sottolineare la diversità anche “estetica” tra la realtà piatta generata dalla agricoltura convenzionale e su vasta scala, che spesso porta a campagne ridotte a lande polverose, e quella generata dalla agricoltura contadina e biologica, con panorami ricchi di erbe, siepi e alberi.
      In effetti un orto, magari fatto di pochi vasi su un terrazzo, contribuisce alla biodiversità e offre spazio sano, senza veleni, alla vita di animali piccoli e grandi.
      Al tuo elenco aggiungo, ad esempio, coloratissimi coleotteri ronzanti, e i merli che nidificano entro gli alti cespugli di confine. Una esperienza recente: ho assistito in diretta, dalla finestra dello studio, ad una lite tra tre colorate ghiandaie, che baruffavano tra i rami del fico a soli tre metri dal vetro.
      Intanto, già ho dato mano alla vanga, e iniziato le estensioni autunnali…

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