2020. Bonus?

Quidquid facere te potest bonum tecum est. Quid tibi opus est ut sis bonus? Velle. –

Tutto ciò che ti può rendere “bonum” è in tuo possesso. Cosa ti occorre per essere “bonus”? Volerlo. –

E’ un passo di Seneca. Esprime una verità fondamentale. E’ una massima da tenere sotto gli occhi, da ripetere ogni giorno.

Ma cosa significa “bonus”? Molte cose, e anche oggi in italiano “buono” assume varie valenze. Può voler dire “buono; lieto; prospero”; ma anche indicare un concetto filosofico come “il bene”. Può significare “nobile”, a motivo dei natali; ma anche – e su questo intendo soffermarmi – indicare il possesso di qualità morali e intellettuali, che fanno essere un uomo “retto; onesto”, e, infine, “valente”.

Per essere un uomo, una donna, “valente”, non è dunque necessaria una nascita “nobile”, o il possedere una fortuna in beni materiali, perché ciascuno ha già tutto quello che occorre, e quel che serve ed è necessario allo scopo è già in suo “possesso”.

Volerlo.

Nessuno ci può obbligare a volere qualche cosa. Eppure, in molti modi, possiamo essere condotti anche noi, docilmente, alla greppia e all’abbeveratoio. Possiamo sentirci in qualche modo minacciati, direttamente o indirettamente, e la paura può condurre il nostro comportamento; oppure, al contrario, possiamo essere sedotti da rappresentazioni allettanti, da immagini che attirano con la forza della loro immediatezza, da video accattivanti dove sempre splende il sole e tutti sorridono e la musica è sempre quella giusta. Questi mezzi, l’intimidazione e la seduzione, sono generalmente utilizzati nelle società occidentali per condurre docilmente le menti dei singoli. I cuori, e i piedi, naturalmente, seguiranno senza alcuna apparente coercizione.

Eppure nessuna azione può essere compiuta se non da noi. Nessuna omissione.

La qualità delle nostre azioni deriva dalla qualità delle nostre intenzioni, dalla qualità delle nostre riflessioni, analisi, meditazioni. Sono e saranno azioni nostre, veramente “nostre”, se impariamo a coltivare la capacità di essere liberi, se alimentiamo la consapevolezza di avere delle possibilità, e sta a noi comprendere e tradurre le possibilità in azioni e realtà effettive.

Solo noi possiamo avere i nostri sogni, e gettare le fondamenta dell’azione su qualcosa di solido, e realizzare qualche cosa di autentico. Ciò che è solido, attenzione, non è qualcosa di materiale, ma la nostra capacità di volere – se la coltiviamo – e dunque, infine, la nostra capacità di essere liberi.

Occorre, per questo, rendere limpida la visione.

Gli esseri e le cose del mondo sono sotto i nostri occhi, ma la visione che ne abbiamo è condizionata dai nostri desideri, dalle paure, dalle aspettative, dalle attrazioni e dalle repulsioni. Tutto questo è parte del nostro essere uomini e donne, e costituisce in profondità la nostra maniera di entrare in relazione con l’ambiente e con gli altri, ed è parte integrante della nostra personalità. Naturalmente, se si preferisce il gelato al pistacchio, e si rifiuta quello al cioccolato, nulla cambia nella nostra vita, che queste sono inezie.

Al contrario – non è necessario fare degli esempi – inclinazioni, scelte, azioni, passività, omissioni, modi di concepire il mondo costituiscono quello che noi siamo, quello che siamo veramente. Occorre, su questo, coltivare la consapevolezza, ed essere interiormente attivi e non passivi.

Qui si radica la nostra più essenziale possibilità di essere liberi, qui si radica la nostra più concreta possibilità di essere schiavi. Schiavitù o libertà? A noi decidere.

Per farlo occorre cercare di avere e coltivare il senso del nostro “io”, avere la capacità di mettere a fuoco quello che noi siamo e vogliamo essere, ponendo l’attenzione su quel centro profondo della nostra personalità, su quel nocciolo della nostra volontà, su quel nucleo relativamente stabile che tendiamo a considerare il nostro io.

Non si nasce liberi, ma liberi si diventa

Una delle stelle che hanno orientato costantemente le mie scelte è la stella della libertà. Spesso mi sono confrontato con lei, l’ho cercata, mi è sfuggita velata dalle nebbie, l’ho ritrovata, acchiappandola per la coda, come una gatta che vuole sfuggire via e non farsi lisciare il pelo. Sempre ho cercato di seguire i suoi passi, sempre ho alzato lo sguardo per vederla, sempre con lei ho tracciato la rotta, e con lei l’ho ritrovata passato il fragore delle tempeste.
Ho imparato ad amarla, e alcuni momenti appaiono come lampi di un flash che illuminano di luce abbagliante e netta, e permettono una fotografia chiara e nitida. Ricordo, al liceo, quando ho incontrato alcuni filosofi greci che parlavano di autosufficienza, e indicavano nella capacità di essere indipendenti un valore.
La persona capace sa costruire il proprio mondo; sa costruire le proprie cose; sa arrangiarsi; quando occorre sa liberarsi degli oggetti costruiti da altri, delle cose che usano tutti.
Un giorno uno di questi filosofi vide un ragazzo che si abbeverava ad una fonte usando le mani come una coppa, e comprese che poteva fare a meno anche della scodella che teneva nella bisaccia, perché poteva bere e dissetarsi egualmente.
Un aneddoto, e offre un chiaro suggerimento generale: ogni cosa materiale, anche la più usuale, può costituire un vincolo, un piccolo laccio che si avvinghia, e il piccolo cavallo di Troia che porta con se una dipendenza.
Una aspirazione comune, quella alla libertà, e la maggior parte delle persone è intimamente convinta di seguire realmente questa linea ideale, e anzi è convinta di vivere in modo libero, e di fare veramente scelte indipendenti, e di fare quel che vuole. Una buona parte della gente si sente libera, e crede di essere libera perché al supermercato vede cataste di confezioni, e ha solo l’imbarazzo della scelta, e può mettere nel carrello il tipo di scatoletta che preferisce, e il barattolo che crede, e il sacchetto che pare più gustoso.
Ma è questa la libertà?
E’ la stessa cosa “sentirsi” liberi, “credere” di essere liberi, ed essere effettivamente liberi?
Una semplice parvenza, una superficiale impressione, una credenza mai sottoposta al vaglio della riflessione, è la stessa cosa di una oggettiva e verificabile condizione esistenziale?
La corrente più forte, costante, profonda, spinge sempre la tua barchetta, e la mia, verso la schiavitù, la servitù, la sottomissione – e paiono calamità lontane dal nostro vissuto quotidiano, e invece sono in tavola a pranzo e a cena, e tanti ne mangiano.
Il punto è che occorre investire tempo a pensare, a studiare, a grattare la superficie, per vedere cosa si cela sotto nomi ed etichette apparentemente innocue, cosa si nasconde sotto il consenso generale, cosa significano effettivamente le azioni che fanno “tutti”. Il vento dominante che riempie le vele spira costantemente in direzione del conformismo, e in quella direzione naviga tanta parte della gente, di quella stessa gente che, con ogni probabilità, è convinta di essere individualista, e di seguire le “proprie” idee.
A parole tanti affermano di voler essere liberi, e di voler seguire le proprie inclinazioni, e poi, al contrario, desiderano e vogliono essere esattamente come gli altri, e sentirsi al riparo, e inseriti nel gruppo, inquadrati, e al passo con gli altri, centuria dopo centuria, a marciare dove vanno gli altri.
Perché?
Per il timore di “sentirsi” soli, per superare la solitudine, per sfuggire alla sensazione di isolamento. Almeno questa è la risposta che offre Erich Fromm in un libro pubblicato nel 1956. E pare una risposta plausibile.
Eppure, altri pensano diversamente, e si regolano diversamente, e ancora vanno in altre direzioni, ogni mattina e ogni sera.
Per parte mia, coltivo la consapevolezza riguardo le fonti delle mie idee, che sono disposto a modificare e perfezionare, e anche a cambiare profondamente, se necessario, alla luce di una più chiara elaborazione interiore. Non mi adeguo alla voce della massa, non seguo la corrente, e continuo a fissare la rotta sulla stella della libertà. E lotto, quando occorre, perché la libertà è una conquista, è come una vetta che si eleva ben oltre i Tremila metri, accessibile al normale escursionista, ma che richiede decisione, allenamento, tenacia, determinazione a camminare, resistenza, coraggio.
Ecco – in questo mondo che pare un immenso supermercato, dove si vendono e si comprano cose, illusioni, sentimenti, sogni, carriere, menzogne, servitù spacciate per libertà, persone – osservo con attenzione oggetti e situazioni; soppeso, valuto, e dico tante volte “non mi serve”; “non è il caso”; “non è giusto”: e non compero, e tiro dritto, e mi tengo libero, e vado per la mia strada.