Il presente, il futuro

Domande e risposte su presente e futuro, su normalità e felicità. Perché il 2020 non è un anno normale.

E’ un video.

Per vederlo, basta cliccare sul link.

I commenti possono essere inseriti su questa pagina, cliccando il fumetto o la scritta in basso.

https://vimeo.com/422404421

 

Il futuro nelle tue mani

Un evento ha rivoluzionato la vita di miliardi di persone. Inatteso. Ha dato una scossa alla routine di una vita, ha fatto volare via illusorie certezze, ha tolto il velo a semplici verità fattuali. Credevamo di essere al sicuro. La Cina era lontana.

Ci siamo ritrovati in pochi giorni, tutti, nella condizione di reclusi in attesa di giudizio. Abbiamo insieme – e non più in ordine sparso, alla spicciolata – sperimentato sentimenti quali lo sgomento, la paura, l’angoscia, il senso di impotenza.

Questo potrebbe risolversi, per ciascuno, in un semplice evento traumatico, maledetto, che passerà sopra la spessa scorza senza lasciare alcuna traccia durevole. Acqua ghiacciata, che scivola via, passeggera.

Potrebbe invece rivelarsi – pur in mezzo alla tragedia, che tanti colpisce – una inaspettata occasione per mettere a fuoco la più pura ed essenziale verità, per guardare fisso negli occhi la realtà delle cose. Una occasione per crescere, per diventare, magari a ottanta anni suonati, adulti.

La quarantena ci toglie molte possibilità di azione, ma non ci toglie la possibilità di vivere ogni minuto decidendo la qualità della nostra vita.

La possibilità di vivere con intelligenza, sensibilità, dignità e, non ultimo, amore, ogni nostro minuto sta tutta intera nelle nostre mani.

Possiamo scegliere di non subire passivamente una imposizione piovuta quale fato avverso, ma di assumere consapevolmente il nostro destino e di sceglierlo, di trasformare un disastro in una preziosa opportunità. Possiamo, ancora e ancora, mettere a fuoco gli elementi fondamentali della nostra vita: la relazione tra la nostra vita, il tempo di cui disponiamo e che ancora ci rimane, quelli che consideriamo i beni reali ed essenziali, le connessioni che ci legano agli altri nostri simili.

Per tutti, l’occasione per conseguire un più elevato livello di veglia; per alcuni – forse – la fine di un lungo stregato sonno, la fine di un lungo letargo fatto di conformismo e consumismo, il risveglio magico in una nuova dimensione, in una nuova vita essenziale, autentica, sana.

Sotto le coperte, alle sei, alle sette, alle otto di un lunedì, ad aprile, lontano da autobus pigiati, da carrozze della metro affollate, da Airbus e Boeing acchiappati al volo, da code bibliche di veicoli sul Grande Raccordo Anulare, al calduccio, annusando un caffè, sorgeranno domande interessanti. Che significa “lavorare”? Svolgere un “lavoro” perfettamente inutile? Molestare gli altri per rifilare merci superflue? Sfiancarsi per “attività” idiote, devastanti, inquinanti, radicalmente dannose? Sfibrarsi per alimentare le mangiatoie dei parassiti e dei potenti? Truffare gli altri?

Per cosa? Per il denaro? Tutto qui?

Questi i giorni di un periodo memorabile, nelle nostre mani l’inizio di un nuovo mattino. L’alba gelida di una nuova era. Una nuova storia, il canto del gallo.

 

Post scriptum. Un primo elenco di storie, di riflessioni, di romanzi, per ampliare gli orizzonti, per alimentare il cuore e la mente, per cambiare prospettiva.

Erich Fromm, Avere o essere.

Serge Latouche, La scommessa della decrescita.

Epicuro, Lettera a Meneceo. Una lettera sulla felicità, sette pagine di valore assoluto. Segnalo l’introduzione e l’edizione curata da Carlo Diano.

Luciano Bianciardi, La vita agra.

Hermann Hesse, Demian.

Axel Munthe, La storia di San Michele. San Michele è il nome di un luogo, diventato la dimora dell’autore, un medico di grande umanità, uno scrittore. Tra le altre cose, narra la sua esperienza di medico durante l’epidemia di colera scoppiata a Napoli, fine Ottocento.

Due meli, un passo

Immagine

 

Ieri ho messo a dimora due alberi di melo. Le ricerche, in internet, erano state sviluppate in autunno e ora, in primavera, ho agito. Ho contattato un vivaio che ricerca e riproduce varietà antiche, coltivate con metodo biologico, e che si trova presso il Lago di Garda. Non mi sono mosso di casa: ho fatto la selezione dal catalogo pubblicato sul sito, ho telefonato per chiedere consiglio e poi per ordinare, e il corriere ha consegnato le piante in meno di 24 ore, giovedì.

“Abbondanza rossa” è già in fioritura, e appare nella foto.

Cinque ore di lavoro, ieri, per misurare e decidere esattamente il posizionamento di “Jambon”, e scavare la seconda buca. Quindi, conficcato con la mazza due paletti di sostegno, frantumato bene la terra, rimessa nella buca, cavato dal vaso la pianta, messa in posizione al giusto livello. Poi calcato un poco il terreno e spianato bene, annaffiato con alcuni litri d’acqua, legato la pianta ai due tutori laterali. Questo per ciascun alberello che, se tutto procede, diventeranno alti 4-5 metri, e regaleranno pomi dalla buccia di un vivace colore rosso.

Sono stato alcuni minuti a contemplare il lavoro finito.

Che soddisfazione.

Un lavoro autentico. Un lavoro produttivo, fisico, fatto con le mani, con le gambe, con la schiena, sotto il sole di aprile, carezzato da una leggera brezza. Un lavoro che unisce l’arte umana del vivaista, che ha innestato le varietà su portainnesto MM 106, e la natura, che si risveglia e caccia fuori nuove gemme e foglie, e fiorisce in primavera.

Sono stato a contemplare, e notato le api che veloci guizzavano già a studiare la nuova pianta, ancora un fuscello di 140 centimetri, ma già fiorita di rosa e di bianco.

19 aprile 2019, ho messo a dimora un contributo, piccolo forse, ma concreto, alla vita di questo pianeta Terra. Le mele, frutti deliziosi, salutari già nei detti popolari, matureranno nel mio brolo. Non più decine di trattamenti con sostanze chimiche spruzzati per le valli, non camion fumiganti giù per la Valsugana, non più banconote firmate da Mario Draghi – secondo calcoli approssimativi risparmierò circa 150 euro l’anno –, non più lavoranti che sudano in Trentino.

Solo un cappello di paglia calcato sulla testa, una scaletta con pochi gradini, una mano che si allunga a cogliere i doni della natura.